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Emily Dickinson, il successo è un’ape



                 di Nicoletta Betti Grisonii




                  Natura - la più Dolce delle Madri,
                  con nessun Figlio impaziente –
                  il più debole - o il più ribelle -
                  Mite il suo Ammonimento -

                          uesto scriveva la grande poetessa Emi-
                          ly  Dickinson  (Amherst,  Massachusett-
            PIANETAUTL | DOSSIER  POESIA
                 Q s,1830-1886), una donna che la gente
                 del posto chiamava “Il Mito” e di cui si diceva che
                 avesse un cervello come “un Diamante”. I suoi
                 versi  hanno  davvero  molteplici  sfaccettature,
                 sono  complessi,  dissacranti,  ironici,  a  volte
                 drammatici, imprevedibili e taglienti, Emily ci di-
                 rebbe, come la lama di un chirurgo.


                 La Natura che tanto amava è spesso protagoni-
                 sta assoluta nelle sue poesie, Natura che la poe-
                 tessa percepiva come la “manifestazione visibile
                 dell’invisibile,  del  Divino”  e  che “utilizzava”  per
                 comunicare alle persone le sue emozioni, le sue
                 sensazioni, le sue opinioni e ciò che, come lei
                 stessa diceva, “assaggiava della vita”. In una del-
                 le sue poesie più famose, ovvero la sua “Lettera
                 al  Mondo”,  affida  anche  nelle  nostre  mani “Le
                 semplici Cose che la Natura ha detto - con tene-
                 ra Maestà”.
                 Fin  da  bambina  Emily  era  stata  educata  dalla
                 madre, grande appassionata di giardinaggio, ad    Emily Dickinson - Dagerrotipo (Restaurato)
                 occuparsi di fiori e piante, in una lettera alle cu-
                 gine aveva scritto che “lei era stata allevata in un  da frutto, susini, peschi, ciliegi, meli, viti, casta-
                 giardino”,  era  cresciuta,  in  entrambe  le  case  gni e lei stessa ci racconterebbe che “le loro pere
                 dove ha vissuto, tra alberi ad alto fusto e piante  erano di zucchero, con i fianchi come prosciutti
                                                                   e la polpa come confetti” e che “i fichi erano così
                                                                   grandi e buoni da vincere le gare alla Mostra del
                  Questa è la mia lettera al Mondo                 Bestiame”.
                  Che non ha mai scritto a Me -                    La poetessa raccoglieva sempre i semi dei suoi
                  Le semplici Cose che la Natura ha detto          fiori e li piantava l’anno successivo unendoli a
                  -                                                bulbi di ogni varietà. Le aiuole che creava con
                  Con tenera Maestà                                maestria erano un’esplosione di colori, un vero
                                                                   paradiso per le farfalle, per le api che tanto ama-
                  Il suo Messaggio è affidato                      va e per i bombi che descriveva come “vistosi,
                  A Mani che non posso vedere -                    dei gradassi dagli abiti sgargianti”.
                  Per amore di Lei - amici miei Dolci -            Coltivava  rose,  peonie,  gigli,  crochi,  garofani,
                                                                   mughetti e giacinti che, in inverno, forzava nella
                  Con tenerezza Giudicate - Me
                                                                   serra per poter avere sul davanzale della sua fi-
                                                                   nestra “un arcobaleno permanente”, usava poi le
                                    (Poesia Num. 441 del 1862)
                                                                   violette  anche  per  decorare  il  pan  di  zenzero
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