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decina di giorni questo suo soggiorno ‘libero’
e scanzonato. Nell’insieme dei suoi incontri,
delle sue visite e delle sue ricerche egli ap-
pare impegnato a capire e sperimentare la
mutazione di clima culturale prima ancora
che politico o sociale che differenzia profon- PIANETAUTL | CULTURA E VITA
damente la città così come egli l’aveva cono-
sciuta nel 1806 da quella che gli si presenta
nel 1833. È una strana sensazione di reduce,
di sopravvissuto quella che egli vive e gli fa
dire di se stesso, paragonandosi a Marco
Polo: “mi toccava saltare dal 1806, il cui ricordo
mi aveva interamente assorbito, al 1833, in cui
effettivamente mi trovavo: Marco Polo piombò
a Venezia dalla Cina, dopo un’assenza di ap-
punto ventisette anni”. (Libro XL, 1)
Catapultato in questa nuova Venezia egli po-
trebbe sentirsi come un corpo estraneo, un
ospite imbarazzato, quasi un intruso, pur se
omaggiato e blandito. Ma non vive di certo
questa condizione come un giovane artista
romantico che si senta rifiutato dalla società
e dal presente in una sfera di separatezza e di
‘maledizione’.
In un passo apparentemente sottotono del
suo scritto Chateaubriand propone sommes-
samente la sua visione del mondo e il suo
particolare angolo di visuale cioè il suo parti- questo caso tra Venezia e Chateaubriand, ma
colarissimo tempo veneziano. Eccola forse la tra Venezia e Napoleone, cioè tra la città e il
chiave dell’enigma veneziano di Chateau- “grand’uomo, vostro oppressore” che è però
briand. Essa si trova esposta nettamente e anche il mio oppressore, così il quadro si ar-
fuor di metafora proprio alla fine del Libro, ricchisce e si ri-compone.
anzi, in una sua appendice che lo stesso Tornando al parallelo con Venezia, Chateau-
autore definisce “bozzetto approssimativo” briand riassume in poche parole l’inferno
sotto il titolo di Fantasticheria al Lido. Qui delle tentazioni e lo strazio della consapevo-
ecco un accostamento capitale e inaspettato lezza della fine del tempo che continuano in
che è, insieme, una invocazione e un testa- maniera sempre più flebile ma non meno
mento spirituale ed estetico: “Venezia, quan- tormentata a registrare la sua decadenza “Io
do vi vidi, un quarto di secolo fa, eravate domi- conosco le mie rovine (…) invecchio invano;
nata dal grand’uomo, vostro oppressore e mio; sogno mille chimere”. Venezia, invece, vive
dormite l’uno e l’altra immortali nelle vostre inconsapevolmente la propria corsa verso il
Sant’Elene! Venezia! I nostri destini sono stati precipizio, sgretolandosi e sfarinandosi nel
simili! I miei sogni svaniscono, man mano che i venir meno della sua stessa essenza civile e
vostri palazzi crollano; le ore della mia prima- morale.
vera vi sono offuscate, come gli arabeschi che Chateubriand descrive sempre in modo luci-
ornano la cima dei vostri monumenti. Ma voi do e disincantato il mondo veneziano, i suoi
perite a vostra insaputa; io, conosco le mie ro- molti protagonisti (e, naturalmente protago-
vine; il vostro cielo voluttuoso, la venustà dei niste), da anonimi popolani ai frequentatori
flutti che vi bagnano, mi trovano più sensibile dei salotti cittadini, e riesce sempre a coglie-
che mai. Invecchio invano; sogno mille chime- re anche le tensioni che affioravano sotto
re”. una dominazione ottusa oltre che poliziesca
Geniale l’accostamento delle due isolette, e bigotta dell’Impero asburgico.
Sant’Elena! Il parallelo, arditissimo, non è in Per avere un’idea della sua acutezza
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