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Carmen la Rossa

               In lontananza scorgevo la cancellata piatta, gialla, nel prato erba tenera di
               primavera  verde  profumo.  Il  tepore  del  sole  addolciva  l’aria,  ancora
               frizzante, dell’aprile di montagna.
               Percorsi  la  strada,  ripida  e  breve  la  salita,  che  un  tempo  pareva
               interminabile… La vecchia casa a due piani aspettava.
               Sulla  facciata  avorio,  ridipinta  da  poco,  si  disegnavano  allineati  gli  scuri
               aperti color caffè.
               Davanzali  fioriti.  Davanti  si  stendeva  la  collinetta  racchiusa  dalla
               recinzione color canarino. Tre alberi riconobbi all’interno, non più giovani,
               vecchi compagni di arrampicate avventurose. Sui rami più alti riuscivamo
               a cogliere “i peretti” migliori, appena dorati: scricchiolavano sotto i denti e
               il loro gusto asprigno pizzicava la lingua…
               Un’esile  figura  si  avvicinò  alla  cancellata:  gli  occhi  limpidi  e  furbetti  mi
               scrutavano, sotto i riccioli fulvi, mentre una voce, dall’angolo lontano del
               giardino, chiamava: “Giacomo, c’è la merenda!”

               “Arrivo, nonna!” Un sorriso e le gambette diventano ali.

               Così rividi Carmen la Rossa bambina, mia amica migliore.




                                                       Liberi tutti

               Mi  ero  inerpicato  lungo  un  viottolo  tra  le  colline,  con  la  macchina
               fotografica, a catturare i primi cangianti colori dell’Autunno.
               Respiravo  la  luce  calma  del  meriggio  nella  benefica  solitudine,  quando,
               immerso  in  pulviscolo  dorato,  mi  apparve  un  casolare  e  voci  distanti
               sentivo intonare canti: era tempo di vendemmia.

               Poi un bimbo, figurina esile, uscì dal muro di pietra. Ginocchia sbucciate e
               gote  rubizze  parlavano  di  corse  infinite…  Mi  invitò  con  la  mano,  a
               mostrarmi  qualcosa  e  di  corsa  scomparve  tra  i  filari,  e  riapparve,  il
               saltellante folletto, tra i pampini e l’uva, rinnovandomi l’invito.
               Mi  lasciai  condurre  e  giungemmo  ad  un’ampia  radura.  Cespugli  la
               incorniciavano e nel fogliame intravidi piccoli occhi, tanti: mi fissavano.

               Ad  un  fischio  acutissimo,  dai  cespugli  nascondigli  sbucarono  conigli  e
               conigli,  bianchi  o  maculati,  agili,  salterini  o  pacati…  Il  bimbo,  al  centro,
               dirigeva  quel  gioco  gioioso,  agitando  un  ramoscello  come  bacchetta.
               Saltellava  trionfante  e  sonoro  rideva,  indicandomi  le  gabbie  aperte  che
               intorno aveva!

               Libero lui, liberi tutti!





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