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LORELLA VIANELLO
Goldoni
Camminava adagio, guardandosi attorno nella calle, ancora bruna per
l’acqua alta, in mano un plico di fogli bianchi e lucidi quasi stirati.
Avanzava fiero il grande Goldoni.
Nella calletta, due lucciole si muovevano all’unisono.
Un gatto nero uscì dall’ombra ad attraversarci la strada.
Carlo affrettò il passo, gli occhi fissi sulle scarpe, per non sfidare la sorte.
“Fermati nonno”, urlai d’istinto stupita delle mie parole; e lui fermò il
piede già sospeso sul canale.
Si girò, sorrise. Era superstizioso ed era vecchio. Lo salutai
A casa
La stazioncina faceva scendere quasi direttamente fra gli ulivi.
Raggiungere casa e attraversare quei
campi… terra nelle scarpe da
ricamarne il tappeto del soggiorno.
Sentivo inutili le urla di mia madre: mi
sarei rotolata sulla terra bruna come
un elfo che ritorna alla natura.
La voce materna, il colore del cielo
azzurro turchino, il verde intenso delle
foglie sottili, pungente il profumo dei
fiori di campagna già dipingevano quei
giorni brevi della mia vita.
Rivelazione
Nella mia aula un giorno di metà febbraio mi ritrovai a parlare di poesia,
parola aliena: scrivere era per me impeto automatico ed immediato,
senza limiti.
Come sentirmi ancora libera con regole estranee?
Una esile donna con la forza di un guerriero parlava di linguaggi semplici
e arcani: suoni e ritmi che davano vita ad un mondo dove le parole
diventavano musica, che, senza mediazioni, parlavano attraverso le
emozioni e univano le persone in un’unica energia.
Come non sentirsi parte di quel mondo, dove la solitudine non aveva
posto?
Io non l’avevo pensata ed era così vicina.
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